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Cosa potrebbe suggerire Donald Trump a startup ed aziende

Non è certo stata la campagna del secolo, un po’ perché caratterizzata da pochissime e reali (da intendersi in tutte le sfumature di senso) idee messe in campo, un po’ per la natura “politica" dei contendenti, con, a farla da padrona, la cesura sempre più forte tra potere e politica contrastata esclusivamente da una carrellata di proposte, offerte e soluzioni “ a buon mercato”.

La politica, però, non sarà oggetto di analisi in questo post. Piuttosto proveremo a focalizzare la nostra attenzione su alcuni interessanti aspetti della comunicazione di Donald Trump e, come cercatori d’oro, pazienti ed attenti alla ricerca di pepite, scaveremo in profondità in mezzo a tanti minerali grezzi. 

Senza entrare nel merito di certi messaggi, possiamo serenamente affermare che l’esecuzione della comunicazione e della strategia trumpista è stata quasi perfetta, al punto tale che certe tecniche ed alcuni asset possono essere presi in considerazioni da aziende e startup per ispirare le proprie strategie di marketing. 


Primo fra tutti la Comunicazione semplice.

In mezzo a tante informazioni, flussi di notizie, artifici retorici una comunicazione semplice è estremamente efficace. Un messaggio chiaro, accessibile a tutti, che costruisce un senso al quale tutti possono attingere è fondamentale per raggiungere il nostro target. Se per Trump fermarsi ad un alto livello di genericità  poteva voler dire nascondere dietro ad uno slogan l’assenza di una strategia netta e definita , per le aziende la semplicità significa arrivare al cuore, alle emozioni (ricordiamo come funziona l’old brain nel neuromarketing) limitando al massimo, da parte dei nostri interlocutori, qualsiasi forma di “rumore” e distrazione. Una comunicazione semplice è inclusiva e non esclusiva, crea uno spazio intorno a noi che invita all’azione ed offre la possibilità di accogliere persone con idee, esperienze ed esigenze differenti, innescando la creazione di nuove relazioni

Nuovi pubblici e nuovi canali

La possibilità offerta dai social, non è rappresentata solo dalla grandissima potenzialità di profilazione, segmentazione e selezione del target, ma considerato che, come direbbe Donne "nessun uomo è un’ isola", veicolare i nostri messaggi attraverso Facebook e Twitter ci offre la possibilità di parlare a nuove comunità, figlie delle nuove crowdculture

Un piccolo passo indietro. Cosa sono le crowdculture?

La progressiva perdita di centralità e di fiducia attorno ai tradizionali canali di comunicazione (tv e stampa su tutti), ha spostato il baricentro di accesso alle informazioni e di aggregazione sociale verso i social media con la loro capacità di canalizzare nuove relazioni attraverso il collegamento di idee, stili, atteggiamenti, di persone e gruppi in precedenza isolati, dando vita ad influenti movimenti culturali che partono dal basso. Si tratta di agenti di innovazione culturale molto prolifici, i cui membri nascono e si riconoscono grazie alla condivisione di valori, temi, identità veicolate attraverso la democratizzazione dei contenuti e basata molto spesso sull’autoproduzione degli stessi (le persone che girano i propri video nella loro stanza raggiungono i vertici delle classifiche di YouTube, cosa che pochissime multinazionali sono riuscite a fare con i propri format).

Se immaginiamo di comprendere ed intercettare  il cambiamento in atto semplicemente mettendo in rete i nostri contenuti e sponsorizzando i post si rischia di compiere lo stesso errore che commettono oggi i media tradizionali. Ascoltare vuol dire focalizzarsi ed allinearsi in tempo reale sui bisogni e le tematiche che dominano le discussioni e le istanze di queste comunità, trasformando così l’innovazione da reale contenuto in un vero e proprio processo.

Trump ha saputo declinare il suo messaggio politico con le parole, gli atteggiamenti e gli stili di tutte quelle comunità online (il top sarebbe stato completare l'offerta con soluzioni importanti e sostenibili) senza replicare format o trend ma generando e canalizzando numerose conversazioni attorno ai suoi messaggi.

 

Mentre Hillary sfruttava con la sua buone dose di VIP il trend del Mannequin Challenge

 

mannequin challenge Hilary

questi erano alcuni Tweet e post di Donald Trump che più dei mi piace e delle condivisioni avevano, come affermavo in precedenza, la forza di generare conversazioni: 


Soddisfazione
«Se Hillary non riesce a soddisfare il marito, come può soddisfare l'America?». (Twitter, 18 aprile 2015)

Offesa
«Hillary è il diavolo!». (Comizio in Ohio, 2 agosto 2016)


Hillary e l'Isis
«Hillary dovrebbe ricevere un premio come fondatrice dell'Isis». (Daytona Beach, 4 agosto 2016)

Non chiamatelo “politico”
«Un "politico"? Non voglio essere definito un "politico". Tutte chiacchiere e niente fatti. Mi rifiuto di essere definito un "politico"». (Iowa, 28 gennaio 2016)

Condivisibili o meno, edificanti o rozze che siano, il punto è che sono come le parole dei nostri amici, sono le parole che utilizziamo ogni giorno nei vari post che pubblichiamo per soddisfare il nostro bisogno di attenzione, di ribellione, di rabbia nei confronti di una classe dirigente che è lontana dal rappresentarci, distante dal comprendere e fornire soluzioni ad una realtà in continuo mutamento.

Ora, però, una domanda sembra nascere spontanea...


Occorre sempre spararla grossa ???

Facebook  garantisce che qualsiasi post tu decida di pubblicare abbia un minimo di diffusione, ma al contempo cerca di tutelare "la qualità" (la strada è lunga...) delle condivisioni spingendoti a postare contenuti che trovino un reale ed immediato riscontro (in termini di like, commenti e condivisioni)  da parte di fan ed amici. Se questo riscontro è tangibile possiamo aumentare immediatamente la portata di un post, abbracciando pubblici complementari, ovvero gli amici dei nostri amici. 
La tecnica dello “spararla grossa” non solo consente (solo nel caso di Trump, sia ben chiaro) di mantenere la reach (portata) dei post sempre alta, ma viene utilizzata l’iperbole per veicolare messaggi diretti, accessibili (qualcuno li potrebbe definire "populisti" nel senso di demagogico e velleitario ) ma che soddisfano immediatamente la domanda delle nostre comunità target.

Raggiungere la massima efficacia, in questo caso, non vuol dire “educare” il nostro pubblico, che, come è ben noto, richiede un lavoro certosino svolto in profondità, ricchezza di idee e contenuti, ma soprattutto dilatato nel tempo (fondamentale, ma non nel caso di una campagna presidenziale in cui la durata delle attività messe in campo è di pochi mesi). 

Aziende e stratup, i brand in generale che vogliono creare conversazioni di valore ed aumentare l’efficacia delle relative azioni messe in campo, devono necessariamente partire dall'ascoltare i reali bisogni del proprio target e da queste costruire soluzioni semplici ed immediate (a questo punto si offre a noi l'opportunità  di riconsiderare la parola "populista" riprendendoci il suo significato originale inteso come la capacità di essere focalizzati sul popolo).
 


Tecniche di Growth hacking


Sempre più spazio, all’interno dei nuovi scenari di marketing ed innovazione, accanto al Lean Thinking, si sta diffondendo la strategia del Growth Hacking, un set di tecniche marketing, engineering, data analysis e filosofia Hacker (spesso confuso con il cracker, l’hacker usa le sue conoscenze per creare ed ispirare) che ha come obiettivo cardine: CRESCERE

Trump è un Growth Hacker ed alcune delle tecniche utilizzate nella sua strategia sembrerebbero confermare questa ipotesi:

 

Identificare bene il proprio target 


Trump è partito nel suo percorso di ascesa alla Casa Bianca da un target ben definito. Ha affermato fin da subito di voler rendere l'America di nuovo grande ("Make America great again"), andando a posizionarsi  dalla parte del "popolo", dei lavoratori, degli industriali. Hillary invece, ancorata a tecniche obsolete dell’endorsement, dei testimonial di successo, nonostante già fosse simbolo dell’establishment che la sosteneva,  si è fatta spesso accompagnare da una solida fila di VIP (dalla promozione ad horas della signora Ciccone, alle apparizioni di Jay-Z e Beyoncé) il cui unico risultato è stato il progressivo allontanamento dalla realtà comune, quella della "middle class” statunitense che si consolida attraverso i social e si aggrega attraverso le conversazioni online (il ruolo del testimonial nel marketing moderno viene sostituito dal valore iconico del BRAND).

Per una startup, e per le aziende in generale, lanciare un nuovo prodotto passa per aver definito bene il target al quale stiamo proponendo il nostro messaggio. Un prodotto non ha appeal per tutti, l’obiettivo è invece validare la soluzione immaginata dimostrando che c’è un gruppo ben definito di persone che traggono valore da essa.


Testing / Esperimenti A/B


L’ A/B Testing è una parte fondamentale della strategia growth hacking. Possiamo immaginare che la prima forma che abbiamo scelto per i nostri messaggi ( visivi, testauali) sia quella giusta? Assolutamente no, per questo motivo provare più soluzioni e testare quelle che hanno maggior riscontro è una tecnica di perfezionamento progressivo della nostra strategia.

Su Facebook ad esempio, Trump utilizzava due forme diverse, talvolta complementari, per testare il grado di permeabilità del suo pubblico su certe tematiche e l’efficacia dei suoi messaggi in termine di riscontro.

Ecco alcuni messaggi: 

 

Facebook Comunicazione Trump


Analizzare le giuste metriche 

Per validare la nostra strategia è importante imparare ad interpretare i dati scegliendo fin da subito le giuste metriche (senza innamorarci di quelle che sembrano essere le più eclatanti ma che in realtà non ci rivelano informazioni utili per valutare la nostra reale crescita). Le attività della board di Donald Trump sono state ben focalizzate sul misurare costantemente la portata dei messaggi e delle attività messe in campo su metriche di valore. Poco contava all’inizio il suo appeal tra le riviste ed i media "democratici", bensi il foucs era concentrarsi sui sondaggi ed il numero dei Repubblicani che crescevano durante le fase delle primarie.


La coerenza e l’efficacia di ragionare come un Cultural branding

E’ chiaro che siamo orfani di grandi narrazioni (si pensi al ruolo delle ideologie del secolo scorso) quali framework importanti all’interno dei quali costruire i nostri percorsi di senso, come persone, cittadini, consumatori, e soprattutto come canale di espressione della nostra identità. 
Come abbiamo visto, la tecnologia ha offerto una possibilità tecnica ad una necessità latente ed ha permesso ad intere comunità online di aggregarsi, entrare in contatto per creare nuove sottoculture, veri e propri laboratori di senso, aggregatori e canali di distribuzione di comportamenti, atteggiamenti, valori, obiettivi che caratterizzano un gruppo, un' organizzazione  e che rendono possibile la nascità di nuove comunità. Trump, le aziende, le stratup, in generale ogni Brand che vuole disegnare valore per le comunità di riferimento deve farsi promotore di un’azione culturale diffusa creare percorsi di senso (storie) attraverso la proposizione di "esperienze uniche e ben definite”.

Essere coerenti è il principali requisito per creare una forma solida nella quale riconoscersi.

Cosa che il buon Donald ha fatto magnificamente e che nessuna pubblicità può comprare.

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