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La nascita di un'opinione, tra post verità ed il mito del voto razionale

L’ Oxford Dictionary ha recentemente annunciato la parola dell’anno 2016: tra una shortlist di 10 finalisti, ad avere la meglio è stato il termine “post verità” (“post truth” in lingua originale), che nel corso degli ultimi mesi ha conquistato un primato degno di nota in termini di diffusione e crescita.

Cosa significa, letteralmente, questo termine? 

La post verità: si riferisce o denota le circostanze nelle quali i fatti oggettivi sono meno decisivi nel dare forma all’opinione pubblica rispetto alle emozioni e alle opinioni personali.

Oggi il ruolo dei social network è sempre più centrale all’interno del processo di formazione delle idee, delle opinioni personali e del consenso politico.

Immersi nel flusso costante di post e conversazioni online, abbiamo sempre meno tempo e volontà di andare a fondo alla ricerca delle cause primarie, inerzialmente predisposti a metterci in scia rispetto al “sentiment” dominante dentro la nostra rete sociale.

A tal proposito è interessante notare l’analisi, all’interno del suo celebre “ The myth of the rational voters”, dell’economista americano  Bryan Caplan in merito ai “fattori chiave” che guidano i cittadini nel processo di formazione della idee politiche ed il conseguente meccanismo di scelta del voto.

 Quali sono dunque queste cause? Analizziamole insieme.

Partiamo da una semplice verità: la media degli estremi è fondamentale per la democrazia ed è ciò che lo rende un sistema funzionale.

Molti considerano la democrazia ed il governo democratico come due delle più grandi conquiste dell'umanità.

Dopo tutto, la democrazia secondo Caplan, si basa sul nobile concetto di aggregazione ma poggia il suo fondamento rispetto al fenomeno matematico per il quale la media delle risposte date all’interno di un gruppo dovrebbe tendere ad essere corretta.

Un esempio. Se si chiede ad alcune persone di stimare quanti fagioli ci sono in un bicchiere, alcuni possono azzardare un numero troppo alto mentre altri sparare troppo in basso. Quando però si prova a calcolare la media delle loro risposte, lo scarto in entrambe le direzioni sarà bilanciato, in modo che la media tra tutte le previsioni risulti essere molto vicina al numero corretto.

Diversamente accade quando questa proprietà viene applicata alla politica. L'elettore medio non sempre è in possesso di tutte le informazioni necessarie per analizzare e valutare a fondo il problema oggetto di analisi, al punto tale che se esprime la sua opinione su una conoscenza parziale non si fatica a riconoscere che il principio matematico del “in medio stat virtus” inizia a barcollare.

Immaginiamo cosa accadrebbe se provassimo a predire l’esito di una storia, ad esempio un film, senza conoscere ancora un paio di personaggi chiave. Sicuramente come “meccanismo previsionale” andremmo a prendere uno schema tra le nostre conoscenze  che quasi sicuramente, vista la nostra parziale informazione, difficlmente ci aiuterebbe ad indovinare il finale o l’evolversi del racconto.

Come  le informazioni parziali, anche i pregiudizi radicati impediscono il miracolo della naturale “aggregazione” del dato.

Una delle principali cause di insuccesso del fattore di aggregazione, che trova il suo compimento solo se le opinioni variano in tutte le direzioni, è proprio la tendenza al pregiudizio diffuso.

Quando le persone sono chiamate ad indovinare il numero esatto di fagioli contenuti nel bicchiere, l'ipotesi media si avvicina al totale corretto perché c’è una reale e soprattutto libera possibilità di  sovrastimare come di sottostimare. Se invece, le persone, non vedono direttamente il barattolo ed acquisiscono fideisticamente informazioni errate oppure parziali su di esso, trasmesse da un gruppo di riferimento o da un influencer, il principio vede ancora una volta compromessa la sua validità.

Ora pensiamo per un attimo a cosa accade quando sui social, all’interno delle nostre news feed,  un’opinione ad informazione parziale viene diffusa con maggiore frequenza e portata (in termini di reach organica). Il fattore di aggregazione aumenta in maniera innaturale la sua portata agendo su un frammento di analisi parziale oppure di informazione incompleta rispetto alla causa primaria.

Quello che per noi oggi può trasformarsi in una reale minaccia per la nostra libertà di opinione è proprio quello che Eli Pariser ha magnificamente metaforizzato con il concetto di Bolla di filtraggio (filter bubble). Nel loro tentativo di fornire servizi, insieme a notizie e risultati di ricerca sempre più “personalizzati”, le web companies ci catapultano involontariamente in un enorme rischio: rimanere intrappolati in una "gabbia di filtri" che ci ostacola nell'accesso ad informazioni nuove o che potrebbero stimolarci ed allargare la nostra visione del mondo.

Prendiamo le nostre news feed di Facebook, i risultati di ricerca su Google, le notizie preferite sui vari portali di News, (cosi come i film consigliati per noi su Netflix e le offerte su Amazon strutturate intorno ai nostri precedenti acquisiti)

Il rischio di un’eccessiva personalizzazione è che, senza un’ adeguata spinta alla ricerca attiva di nuovi contenuti, corriamo il rischio di restare intrappolati nelle nostre “gabbie” e nutrirci delle nostre convinzioni.

  

Sembrerà strano crederci, ma la maggior parte delle persone non votano egoisticamente.

Oltre i pregiudizi, bufale ed informazioni parziali, la democrazia si trova costretta ad affrontare oggi nuove sfide tra cui molte che in verità rappresentano una novità vera e propria: le persone non votano in maniera egoistica.

Normalmente ci si aspetta che la gente possa votare solo in base ai propri interessi; ma la verità oggi sembrerebbe sorprendentemente diversa.

Con la caduta delle ideologie e delle grandi narrazioni, le scelte di voto delle persone sono sempre meno motivate dalle proprie ragioni dominanti, vale a dire i propri valori, le normali preferenze di appartenenza ad un partito.

In passato la funzione delle ideologie era proprio quella di creare un framework (una cornice) che racchiudesse al proprio interno
un’identità ben delineata nella quale riconoscersi. La scomparsa di questo a favore di una maggiore liquidità della società, i cui ruoli, abitudini e culture vanno sempre costantemente modificandosi, a volte guidati più dalle emozioni del momento che da una reale coerenza d’azione. Ciò induce le persone, nomadi culturali, ad attraversare con maggiore velocità diverse “sottoculture” non sempre complementari tra di loro, assumendo posizioni trasversali, contradditorie oppure non definite.

Il voto per motivi egoistici produrrebbe risultati migliori. Per esempio, se ogni elettore fosse motivato solo ed esclusivamente dall’interesse personale, sarebbe molto più attento ad approfondire il proprio campo d’interesse nel pieno rispetto delle sue esigenze così da indirizzare il suo voto per il partito o per il candidato che offre maggiori possibilità di soddisfacimento dei propri obiettivi. Espressa in questo modo, la media data dall' aggregazione di tutti i reali e singoli interessi dei votanti sarebbe un dato più puro.

In realtà, le persone a volte, risultano essere così emotivamente attaccate ad alcune credenze che finché queste credenze non risulteranno essere una reale minaccia per i propri interessi personali, difficilmente sono propense a cambiare opinione. Immaginiamo di essere convinti, all’interno del nostro negozio, della forza di vendita di un prodotto. Lo mettiamo in vetrina in bella mostra, lo promuoviamo con offerte allettanti e nonostante questo non riusciamo a venderlo. Se la nostra tenacia, passione, e sicurezza ci impongono di perseverare nell'azione accade che solo quando ci accorgiamo realmente che i nostri guadagni iniziano ad essere compromessi, lì iniziamo a decidere di cambiare.

In conclusione ritorniamo per un attimo allla post verità.

A volte siamo vittime di troppa informazione, di una qualità sempre più rara ed orfani di interpretazioni. E' importante riprenderci il giusto tempo di esercitare la nostra capacità autocritica nel senso di reale ricerca e messa in discussione delle nostre troppe certezze, vivendo a pieno la rete per quello che è realmente è: un mare di possibilità. In questo modo, forse, guideremo ogni nostro like con maggior consapevolezza, insegnando, nello stesso tempo, ad ogni intelligenza artificiale ed algoritmo previsionale che nessun uomo è un’isola e che la vera ricchezza è solo nella diversità.

 

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